La pratica di Smart Working consiste in una modalità flessibile riferita allo svolgimento del rapporto lavorativo subordinato con riferimento al tempo e al luogo di esecuzione della prestazione.
Successivamente alla pandemia da Covid-19 e alla conseguente decretazione emergenziale, l’Istituto ha senz’altro conosciuto un rinnovato successo. In una tale riformulazione del contesto, il fare sempre più affidamento agli strumenti tecnologici (i cosiddetti smart device) si è rivelato non solo necessario ma anche fondamentale. Da una parte la prestazione dei rapporti di lavoro è stata resa più fluida, così come anche lo scambio di informazioni, dall’altro lato diverse sono state le perplessità che si sono sollevate riguardo all’ipotesi di controllo a distanza del lavoratore ad opera del datore di lavoro, tanto più alla luce della disciplina contenuta nell’art. 4 della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) che ne stabilisce limiti e deroghe.
E’ possibile il controllo del lavoro agile?
Nel contesto del lavoro agile (o di Smart Working), e comunque più a livello generale della prestazione a distanza, le possibilità e occasioni di controllo circa la prestazione lavorativa del dipendente da parte del datore di lavoro hanno subito un’intensificazione. Tuttavia, la norma prevede che l’installazione degli impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo del lavoratore a distanza possa essere utilizzato attraverso un accordo con le rappresentazioni sindacali, a fronte di motivazioni derivanti da esigenze organizzative, produttive, di sicurezza sul lavoro o per la tutela del patrimonio aziendale.
I controlli difensivi, vale a dire quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore dallo stesso tenuti al di fuori dello svolgimento del lavoro, vengono inclusi tra le necessità aziendali qualificate che rendono legittima l’installazione e l’uso degli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Smart Working: quali gli strumenti di lavoro?
Ciò che rileva in maniera più significativa della formulazione della norma è senz’altro contenuta nel secondo comma che, innescando numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali prevede l’esclusione dalle procedure di accordo con le parti sindacali, e di conseguenza la “liberalizzazione”, degli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e degli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Al fine di poter chiarire cosa si possa intendere per strumento di lavoro, si sono espressi sin da subito: il Ministero del lavoro (Nota del 18 giugno 2015); l’Ispettorato Nazionale del lavoro (Circolare n.2/2016), il Garante della Privacy (verifica preliminare del 16 marzo 2017). Tutti hanno ritenuto di distinguere gli strumenti che siano nella maniera più stretta necessari per svolgere l’attività lavorativa (esclusi dal campo di applicazione del primo comma dell’art. 4 Stat. Lav. )da qualsiasi altro software che possa essere installato su tali strumenti di lavoro e che sia idoneo a monitorare con costanza la prestazione lavorativa.
Oltre ai personal computer, gli strumenti assegnati al lavoratore che più comunemente possono comportare controlli a distanza sono gli smartphone, i tablet, l’accesso alla posta elettronica aziendale, i GPS installati sui mezzi aziendali, le videochiamate.
Smart Working e protezione dei dati personali: esiste un nesso?
Risulta evidente che l’apparente liberalizzazione dettata dalla nuova formulazione del comma 2 dell’art. 4, sia stata successivamente mitigata dalla giurisprudenza.
Non solo, l’impianto normativo dell’art. 4 deve armonizzarsi con la previsione contenuta nel successivo terzo comma che subordina la possibilità di utilizzo a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro dei dati pur legittimamente raccolti da parte del datore di lavoro ai sensi dei commi 1 e 2, all’obbligo di rendere una specifica informativa ai lavoratori circa le modalità di utilizzo degli strumenti di lavoro e circa le modalità di effettuazione dei controlli nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196. La disposizione ha, perciò, un imprescindibile nesso con la protezione dei dati personali; lo stretto nesso che intercorre tra le due discipline trovato ulteriore recente conferma nel Protocollo d’Intesa sottoscritto in data 22 aprile 2021 dal Garante della Privacy e dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con il comune obiettivo di creare processi di stabile connessione tra le due Istituzioni, così da poter intraprendere orientamenti condivisi su questioni particolari, sia nella prospettiva interna di approfondimento e confronto, sia in una prospettiva esterna, incrementando lo sviluppo sinergico e la coerenza delle decisioni dei due organismi.
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